Don Socrate Isolani
Nasce a Fabbrica, frazione di Peccioli, comune in provincia di Pisa, nel 1877.
Nel 1903, a soli 26 anni gli viene affidata come primo incarico la parrocchia di Lustignano che terrà fino al 1912. In questo periodo si appassiona alla storia di questi luoghi ricchi di storia e inizia a pubblicare una serie di articoli di cui il primo è Virgo Fraxetana, sulla Madonna del Frassine del 1911. Nello stesso anno, a giugno viene nominato con decreto reale per la prima volta Ispettore onorario per i monumenti, gli scavi e oggetti di antichità e di arte per i mandamenti di Cecina e Pomarance, la nomina fu il frutto di una intensa attività di ricerca e promozione dei numerosi ritrovamenti archeologici.
Tra i numerosi testi storici, quelli che riguardano il nostro territorio sono La vallata della Cornia del 1915 e l’Abbazia di San Pietro in Palazzuolo a Monteverdi del 1920 che viene riproposto quest’anno nell’ambito della Festa del 1° Maggio del Circolo Culturale Badivecchia.
Si tratta di un testo ormai introvabile anche nelle biblioteche, meritava quindi di essere ripubblicato.
Dopo Lustignano a don Isolani fu affidata la parrocchia di Montignoso che resse fino alla sua morte avvenuta nel 1947. Montignoso, da non confondere con il comune di Massa Carrara, è una località del comune di Gambassi Terme, tra Volterra e San Gimignano. Qui pubblica decine di articoli e saggi sulla storia e il territorio di Montignoso e Gambassi.
Dopo essere nominato Ispettore dei monumenti e scavi anche del territorio di Castelfiorentino, continuò questa attività, e cito le sue parole, con “disinteresse e buona classifica finchè nel 1926 fui tolto di mezzo”. Probabilmente per contrasti con la nuova classe burocratica di osservanza fascista.
Tra tutta la sua ampia produzione storica l’Isolani pubblicò un solo libro L’Abbazia di Monteverdi e la Madonna del Frassine in Val di Cornia, nel 1937, riunendo anche nel titolo i tre articoli sul nostro territorio scritti negli anni precedenti.
Nella Premessa del libro l’Isolani polemizza con la signorina Elena Galletti, figlia del conte Guglielmo, podestà di Monteverdi che nel 1929 scrisse un articolo sulla Badia di Monteverdi sulla rivista Maremma.
La Galletti nel dicembre 1935 scrisse all’Isolani : “di aver compilato nel 1929 il suo articolo sulla Badia di S. Pietro in Palazzuolo per richiesta di un suo amico di famiglia e non era affatto destinato alla pubblicazione. Che fu fatto stampare a sua insaputa e con diverse lacune sia nel testo che nelle indicazioni bibliografiche. A ciò si deve anche la mancata citazione del mio opuscolo e non a una volontaria omissione che non sarebbe certamente stata onesta!”.
Con altra lettera del gennaio 1936 la Galletti si giustifica scrivendo “ di aver trovato l’opuscolo sulla Badia, nella fattoria di Monteverdi da loro acquistata dai Baroni De’ Rossi ai quali l’Isolani aveva rimesso con dedica”.
L’autore volle anche precisare che la Leggenda del Frassino pubblicato nel 1934 nel volume Leggende Toscane, da cui la contessa Maria Luisa Fiume aveva nel luglio 1935 tratto una lettura alla Radio di Roma altro non era che la riproduzione del suo opuscolo Virgo Fraxetana.
Quindi una spinta polemica per “ rivendicare per me la priorità delle notizie su questa antica e monumentale Abbazia”, sembra essere alla base di questo libro del 1937.
Nel 1946 viene nominato presidente della Società Storica della Valdelsa, carica mantenuta fino al 1947, anno della sua morte: fu seppellito nella sua Fabbrica.
Dicevamo che questo opuscolo meritava di essere ripubblicato perché introvabile, ma anche per un altro motivo: si tratta del primo opuscolo monografico dedicato alla nostra Badia.
In precedenza della Badia si era scritto solo incidentalmente o nell’ambito dei repertori compilati dal Repetti o dal Targioni Tozzetti. Anche a Monteverdi, dopo il 1781, anno della ricerca delle spoglie di San Walfredo la memoria della Badia sembra appannarsi. Tra le cause di certo ci fu la soppressione degli enti ecclesiastici avviata dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1785 e il periodo della dominazione francese con le soppressioni napoleoniche del 1810.
Solo sul finire del secolo e l’inizio del novecento l’interesse della famiglia della Gherardesca risveglia le ricerche che però si concentrano prevalentemente sulla figura di San Walfedo e sui santi famigliari. A Monteverdi abbiamo l’altare, la tela e il busto di San Walfredo, ma altre immagini sono sparse tra Castagneto, Donoratico e Pisa.
Quindi è l’Isolani che inaugura con questo opuscolo del 1920 la serie dei testi dedicati alla Badia ( e a Walfredo e alla Madonna del Frassine), cui segue il libro citato del 1937; a Firenze 1944 don Emiliano Lucchesi pubblica , I monaci benedettini vallombrosani nella Diocesi di Massa Marittima e la leggenda di S. Walfredo Capo stipite dei Conti della Gherardesca. Bisogna poi aspettare gli anni ’80 per veder rifiorire i testi, ricordo gli scritti di don Enrico Lombardi e la Vita Walfredi und Kloster Monteverdi, a cura di Karl Schmid, Tubingen del 1991.
. L’autore, nel resoconto della sua visita alle rovine nel 1909, racconta di ampie mutilazioni che corrispondono in buona parte allo stato attuale, considerato che la leggibilità dell’impianto architettonico del monastero è rimasta pressoché invariata, mentre da allora si sono notevolmente ridotte le altezze dei muri a causa dei frequenti crolli attribuibili anche allo sviluppo selvaggio della vegetazione insinuatasi tra le crepe delle mura.
Oggi diamo per scontato che l’originale localizzazione del monastero – in Palazzuolo – sia quella di Badiavecchia e che le imponenti rovine corrispondano alla nuova sede – in loco Pradium – in cui il convento fu traslato nel XII secolo. Inoltre nel 1561 fu costruito un ulteriore convento all’interno delle mura castellane di Monteverdi del quale rimane il solo toponimo di piazza del Convento. Se per correttezza possiamo definire in Palazzuolo solo la prima collocazione, quella della vecchia Badia, non possiamo dimenticare che tutte e tre le chiese furono dedicate a San Pietro, dando luogo a una confusione alimentata da alcuni testi, tra cui questo dell’Isolani, che hanno rappresentato per la popolazione locale la fonte quasi esclusiva di documentazione e che, talvolta, necessita ancora oggi di essere chiarita.
Affidandosi al Repetti, autore di una monumentale e fondamentale opera sulla storia della Toscana, l’Isolani si fa portavoce della erronea tesi che Gumfredo sia da identificare con tal Gausfridus, cittadino pisano, che in una lettera del 774 del pontefice Adriano I a Carlo Magno appare come mediatore e informatore fra questi due personaggi, ma anche di un probabile refuso di stampa che colloca nel 1592 l’atto, correttamente databile al 1392, con cui l’abate Andrea Cambi concesse che li beni stabili allogati alli huomini appartenessero a’ Conduttori, e lor descendenti in perpetuo.
L’Isolani colloca la costruzione della nuova abbazia sul finire del 1200, oggi sappiamo che fu costruita almeno un secolo prima.
La segnalazione di alcune sviste dell’Isolani rappresenta l’occasione per riflettere sul notevole progresso compiuto dalle ricerche storiche sul territorio di Monteverdi Marittimo e in particolare sul monastero di S. Pietro e per stimolare nuovi studi e una migliore promozione della nostra storia.