“L’Italia è un paese vario e complesso, denso di microterritori, spesso rinchiusi uno nell’altro, che svelano bellezze – e anche contraddizioni- e che custodiscono esperienze, racconti e produzioni. Non a caso Luigi Veronelli coniò, pensando a questi contesti, il termine di giacimenti gastronomici. Dove per gastronomia il grande interprete della cultura materiale italiana intendeva naturalmente tutto ciò che avesse attinenza con le produzioni della terra o le loro artigianali trasformazioni. Sono giacimenti, proprio perché, ancora oggi, a volte, celati ai più.”
Il territorio e i contadini di Monteverdi ( e naturalmente di Canneto, oggi frazione ma un tempo orgoglioso castello autonomo) hanno nello scalogno un prezioso tesoro che caratterizza il “giacimento gastronomico” locale che comprende anche l’olio e il vino e altri prodotti che attendono solo di essere valorizzati. Tornando a Veronelli, secondo quanto scritto nel 1980 da Carmelo Dionisio in un fascicolo dedicato a Monteverdi, così disse:
“ I contadini (di Monteverdi) hanno ricchezza e non lo sanno; qui è terra secolare, di elettiva coltura, dello scalogno, sorta di ibrido tra la cipolla e l’aglio e il colore rosato della cipolla e gusto “strano”, tra i due, ma più essenziale ed elegante. Richiestissimo dagli “chefs” della grande cucina, qui è usato come sottaceto, contorno – gustosissimo per il resto a zuppe di fagioli fatte con pane integrale”.
Sempre nella stessa pubblicazione, il Dionisio parlando di altre produzioni monteverdine scrive:” ..un po’ di vino ( un vino rosso di buona beva) e un tantinello d’olio (sopraffino)”. Confesso che, citando a memoria, ho finora attribuito al Veronelli la definizione di olio sopraffino, sono comunque convinto che l’olio di Monteverdi e Canneto sia speciale e che meriti di essere maggiormente apprezzato.