A metà dell’VIII secolo nel documento con cui Walfredo descrive i terreni di sua proprietà che dona al monastero di S. Pietro in Pazzuolo troviamo, oltre a case, famiglie e pascoli, vigne e uliveti, non solo nel territorio di Monteverdi ma anche a Castagneto, Castelfalfi ed altri luoghi. Tra i molti possedimenti Walfredo dona inoltre la sua parte del mulino di Caldana.
Gli oliveti nel nostro paesaggio medievale si fanno risalire alla presenza di veterani romani di cui è testimonianza l’ara alla Dea Bellona conservata nella chiesa del castello di Monteverdi e prima ancora degli etruschi che ridussero i terreni a coltura. Nel nostro comune si sono trovate tracce di insediamenti protovillanoviani e preelleneci, che testimoniano una presenza organizzata sulla via che univa Populonia a Volterra attraversando territori ricchi di sale, minerali e acque termali, via percorsa anche da periodiche transumanze, fonte di gabelle e commerci.
Secondo indicatori documentari e archeologici si ritiene che la principale attività economica in età altomedievale fosse l’allevamento e che il patrimonio fondiario di Walfredo in prossimità del monastero fosse contrassegnato dall’incolto e dalla pastorizia.
Tuttavia gli storici individuano alcune condizioni fondamentali per la diffusione della coltivazione degli olivi. La prima nella buona redditività dell’olio e nella relativa facilità di trasporto sia per il piccolo contadino che per il grande proprietario. Mentre il contadino è costretto a piantare olivi ai margini dei campi coltivati, su terrazzamenti o lungo i filari delle vigne, il grande proprietario può piantare oliveti meglio organizzati, sottraendo però terreni alla semina per un lungo periodo. Caratteristica dell’olivo è di essere una cultura lenta, produce dopo circa dieci anni, con alternanza annuale e forte sensibilità al freddo. Quindi un insieme di condizioni economiche che privilegiano la grande proprietà.
Da un punto di vista sociale l’oliveto necessita della disponibilità di manodopera, prima nella fase di impianto e poi annualmente per la raccolta e il trasporto delle olive.
Anche una macina che lavora solo qualche mese tra autunno e inverno diventa oneroso per un piccolo uliveto.
A Monteverdi ci furono le condizioni per una coltivazione non occasionale di oliveti – e non solo – grazie alla presenza di una grande proprietà, prima romana poi longobarda, tramutatasi infine in abbazia e monastero di San Pietro in Palazzuolo. I monaci, che seguivano la regola benedettina dell’Ora et Labora, raggiunsero il numero di 160 nei primi decenni del IX secolo, secondo quanto riporta l’abate Andrea. A questo numero possiamo aggiungere i pastori, i contadini e le loro famiglie, tutta manodopera temporanea disponibile sul territorio.
Il frantoio fu all’origine e per lungo tempo proprietà dell’abate, abbiamo notizia in epoca trecentesca di due molini, uno dell’Abate e uno del Comune, ma non sappiamo se “molivano” solo grano, olio o entrambi. Nel 1793 viene censito un frantoio da olio di Francesco Moroni, sotto il palazzo Pretorio di Monteverdi.
Ragionando sul nome Monteverdi possiamo immaginare un territorio in origine prevalentemente boschivo ridotto a coltura nel corso dei secoli. Guardando le immagini satellitari di Monteverdi si individuano, a sud attorno al monastero originario, le zone ancora oggi coltivate e con buona presenza di olivi, a testimonianza dell’impronta profonda sul paesaggio dovuta alla presenza della Badia di S.Pietro in Palazzuolo.
Sulla produzione di olio abbiamo meno informazioni. Mancano dati su quantità, qualità e uso dell’olio. Alcune informazioni permettono di affermare che la quantità di olio prodotto fosse appena sufficiente a coprire le diverse utilizzazioni a cui era destinato. Scomparso l’uso dell’olio come unguento per gli atleti, veniva destinato per l’illuminazione delle chiese e della case, in parte per la cucina e, infine per la preparazione di medicinali. In generale in Toscana la maggior parte dei frantoi apparteneva ai Signori, una parte alle Comunità e solo pochi a privati. Il pagamento si effettuava in contanti in casi sporadici, di regola in natura. In questo caso ottiene una percentuale fissa di olio variabile tra 4 e 8% e soprattutto trattiene la sansa.
Dalla pasta restante dalla molitura si ottiene, mescolata con acqua e triturato, un olio di qualità inferiore, destinato all’illuminazione e all’industria, in particolare per la produzione di sapone.
Il miglioramento delle tecniche di estrazione dell’olio dalle olive non ebbe perciò un grande impulso considerato che l’interesse del frantoiano era di produrre sansa pregna di olio.
Nel 1893 a Monteverdi c’erano 7 frantoi
Nel 1900 circa a Monteverdi si producevano 312 quintali di olio
Nel 1912/1918 c’erano 4 frantoi:
Baldassarri Paolo 1050 q.li
Baldi Angiola Giannerini 100 q.li
Gherardi Roberto 150 q.li
Moroni Maria 170 q.li di olio
Stima: 15-30.000 piante di olivo.