Recentemente è stato stretto un accordo tra il Comune di Monteverdi Marittimo, la Provincia e la Sovrintendenza per i Beni Storici Architettonici di Pisa per il restauro dei ruderi dell’Abbazia di S. Pietro e presentato un progetto articolato su tre anni – per il primo anno sono già previsti 300 milioni di spesa – alla cui conclusione potremo visitare in sicurezza le affascinanti rovine e godere di un panorama unico che spazia fino al mare. L’architetto Simone Bartolini, curatore del progetto, ha proposto un intervento conservativo che mira a consolidare le parti pericolanti, senza cristallizzare lo stato attuale, prevedendo l’uso di scale e pedane in metallo che, oltre a lasciare il massimo grado di libertà a futuri interventi, permetteranno di riprodurre “anche in altimetria quello che fu l’originario assetto distributivo del presidio di guardia, offrendo al visitatore la possibilità di poter percepire dagli stessi punti di osservazione di 700 anni prima , quella che fu la grandiosità di questa pregevole roccaforte religiosa.” Il recupero era stato auspicato a più riprese da molti e solo recentemente ha potuto essere formalizzato grazie alla donazione del terreno su cui si erge la Badia, di cui era proprietaria la signora Marchi. A operazione conclusa verrà restituita alla popolazione locale, al turismo religioso e culturale una delle più importanti vestigia del nostro territorio. La storia della Badia si intreccia profondamente e durevolmente con quella di numerose comunità quali Lustignano, Serrazzano, Castelnuovo, Caselli, Monterotondo, Sassetta, Suvereto per citarne alcune, oltre naturalmente a Monteverdi e Canneto che sorsero grazie all’opera dei monaci.
Per ripercorrerne brevemente la storia occorre risalire al 752 anno di fondazione del monastero da parte del longobardo Walfredo, suo cognato Gundualdo e il vescovo Forte. Nel 754 Walfredo dotò il monastero di un vasto patrimonio sparso in Val di Cornia, Val di Cecina, Val d’Era, costa livornese, Pisa e Val d’Arno pisano, Lucca e Valle del Serchio e in Corsica. Chiariamo subito che il primitivo luogo di fondazione si trova alle pendici dell’abitato di Monteverdi, in località Badiavecchia, nei documenti antichi identificata come Palatiolum per esservi stata una residenza romana da cui potrebbe provenire la vasca marmorea – databile al I secolo d.C. – attualmente conservata nella chiesa di S. Andrea in Monteverdi . Nei primi anni del IX secolo l’abate Andrea nipote di Walfredo, raccontò i miracoli del fondatore in un testo agiografico che consegna alla storia religiosa la vita di un Santo e – narrando del desiderio di Walfredo di essere sepolto nel mezzo del chiostro per rimanere vicino ai confratelli – pone le basi per una ricerca delle reliquie che, trascorso un millennio, coinvolgerà la quasi totalità della popolazione di Monteverdi. La Wita Walfredi riportando lo storico episodio dell’attacco dei Mauri alle coste tirreniche, permette una precisa datazione ma ci segnala come il monastero benedettino fosse obiettivo ambito dei predoni. La “Vecchia Badia” aveva subìto assalti devastanti almeno dal finire del primo millennio, come sembra dimostrare l’antico toponimo di Pian della Colonna, presso l’attuale Consalvo al confine con il fiume Cornia nel territorio di Monteverdi. Il luogo viene indicato in un documento del 1053 a testimoniare che l’uso comune lo aveva reso così riconoscibile da essere usato in un atto pubblico di compravendita; citazioni successive sia del toponimo che della presenza fisica della colonna – nel 1630 vi fu un tentativo di trasportarla a Sassetta e fino agli anni ’70 rimase in quel campo – ne attestano una continuità, supportata anche da una leggenda locale, che sommata con l’evidente somiglianza con altre colonne provenienti dalla Badia portano a datare un distruttivo saccheggio a cavallo dell’anno mille.
Non sappiamo quando il monastero di Palazzuolo fu spostato nella sede attuale, in loco Pradium, uno sperone di roccia che fronteggia Monteverdi a circa due chilometri in linea d’aria: in un documento volterrano non datato ma riferibile agli ultimi decenni del XII secolo, troviamo che alla presenza del canonico Matteo furono spezzati gli altari e tratte le reliquie per il trasferimento. Questo rito probabilmente sanciva la fine di una fase iniziata tempo prima con la costruzione o il riattamento di un guardingo, con funzione di avvistamento e difesa, sul colle della Badia. Risultati importanti potranno essere forniti dagli studi sulla datazione delle singole parti del complesso monastico, di cui si ipotizzano tempi diversi di edificazione.
Il monastero nella nuova sede venne assalito da banditaglie nel 1253 e la razzia culminò con l’uccisione di tutti i monaci e perfino dell’abate Benedetto. Si salvò un solo religioso che, secondo la famosa leggenda, portò con sé la statua lignea della Madonna scolpita tradizionalmente dall’apostolo Luca e la nascose nel folto della macchia per essere ritrovata dopo due secoli nel luogo ove fu edificata l’attuale Chiesa della Madonna del Frassine. Bernardino, pievano di Piombino, ben presto inviato in ricognizione sul luogo del massacro stese una relazione – filtrata attraverso la descrizione pietosa delle tracce ancora visibili del sangue, degli arredi e suppellettili fracassate e della sistematica razzia di ogni scorta alimentare – che ci regala involontariamente una visione della architettura della abbazia. Il truce episodio riduce al lumicino l’attività dei monaci che nel 1257 furono costretti a chiedere soldi in prestito e a vendere alcuni beni per la riparazione della Chiesa e per l’acquisto di quanto necessario per celebrare Messa.
Le pressioni del Comune di Volterra, che nel 1258 aveva già ricevuto la sottomissione degli uomini del Castello di Monteverdi, portarono nel 1282 ad una transazione con i monaci che ricevettero una somma di denaro per costruire un più sicuro asilo entro le mura di Monteverdi. Di questa nuova sistemazione non si hanno più notizie: è probabile che non si desse alcun seguito all’iniziativa. La storia della Badia nel periodo successivo al secolo XIII è stata finora trascurata e merita di essere oggetto di uno studio monografico. Vediamo comunque i fatti salienti: nel 1360 la Badia subì nuovi danni dai Pisani e secondo il Tronci nelle “Memorie istoriche della città di Pisa”: .. la Badia di Monte Verde da loro fino ai fondamenti disfatta.., facendoci intuire che si accanirono su quanto restava della Badia vecchia, quella di Palazzuolo. Nel 1385 Simone Bencini, abate Generale dei vallombrosani, propose di ricostituire una comunità di monaci, anche perché in quel luogo vi erano i corpi di molti santi monaci, e di unire il convento di S. Pietro al monastero di S. Maria di Vallombrosa. Con bolla del 24 agosto 1423 il Papa approvò l’unione e dette all’abate generale di Vallombrosa il titolo di Marchese di Monteverdi e di Canneto, sancendo la perdita definitiva di quell’autonomia che fino ad allora aveva caratterizzato la storia del nostro monastero.
Nel 1561, con la costruzione di una casa e di una chiesa nuovamente intitolata a S. Pietro all’interno delle mura castellane di Monteverdi, cessò la presenza dei monaci sul colle della Badia. La nuova residenza fu abitata da tre o quattro monaci che conservarono il giuspatronato delle chiese parrocchiali di Monteverdi e Canneto.
In occasione della visita pastorale del 18 marzo 1781 i monteverdini forti di quanto la tradizione diceva sul luogo di sepoltura di Walfredo e confortati dai numerosi piccoli miracoli operati nei confronti dei fedeli – che nel corso degli anni avevano ravvivato il culto di Walfredo acclamato santo dalla voce popolare – chiesero al vescovo autorizzazione agli scavi per la ricerca dei resti mortali del santo Walfredo, del beato Andrea terzo abate di Palazzuolo e del beato Leonardo di Silvio Fabbro di Castelnuovo Val di Cecina. Il vescovo, dopo attenta riflessione e con molte cautele, approvò nominando un proprio delegato come responsabile e chiedendo una relazione dettagliata. La trascrizione completa e commentata dei manoscritti del Diario delle ricerche : è un resoconto vivido e in più punti anche piacevole che ci guida nella visita alla Badia dell’anno 1781. Muri perimetrali coperti da vegetazione ma in mediocre stato, alcune mura assai buone, la porta del convento in buono stato e quella della chiesa in ottime condizioni. La chiesa perfetta, mancante del solo tetto e una particolareggiata descrizione di ogni locale e di ogni traccia riscontrabile sui muri e sul pavimento. I lavori videro impegnati oltre cento uomini per complessive quattrocento giornate di dieci ore lavorative, una vera campagna di scavo durata più di un mese.
Nel XIX secolo si perse traccia della Badiavecchia e l’attributo di Palazzuolo rimase alla nuova Badia, ingenerando una confusione che propagata da alcuni testi pubblicati – rappresentanti per la popolazione locale la fonte quasi esclusiva di documentazione – necessita ancora oggi, talvolta, di essere chiarita.
Gli anni seguenti furono all’insegna dell’abbandono, della distruzione e del saccheggio. Scomparsa la memoria degli scavi e della sacralità del luogo, il monastero fu depredato di porte, pietre scolpite, archi e stipiti. Nel dopoguerra si diffuse la leggenda di un tesoro sepolto, alcuni dicevano un leone d’oro, altri parlavano di un prezioso mosaico, il tutto portando tombaroli nostrani a scavare dissennatamente la superficie del monastero. Agli inizi del 1900 la Badia fu dichiarata monumento nazionale ma l’etichetta non valse a difenderla dall’ingiuria degli uomini e del tempo.
Nel corso degli ultimi trent’anni, grazie anche al rinnovato interesse per la storia locale, sono state prodotte ricerche originali su Monteverdi e il suo territorio – tesi, libri e articoli – che hanno avuto limitata circolazione. A questo pone parziale rimedio il libro “L’abbazia di S. Pietro in Palazzuolo e il Comune di Monteverdi” che raccoglie le relazioni di Mauro Moggi, Cinzio Violante, Gabriella Giuliani, Francesco Alunno e Marco Geri, presentate durante il recente convegno curato dal Circolo culturale Badiavecchia in collaborazione con la Società Storica Pisana. Il libro, curato dal prof. Silio Scalfati per Pacini editore, rappresenta uno strumento agile ed essenziale per capire la storia di Monteverdi e dell’abbazia che dominò per molti secoli il nostro territorio.
Alessandro Colletti, aprile 2000