Una microstoria non è una piccola storia, ma la storia grande di piccoli luoghi. Questo è un libro sui luoghi – sui posti, come si dice in Toscana – e i luoghi sono come le persone: bisogna volergli bene. Per volergli bene bisogna conoscerli, rispettarli, curarli; occorre entrare in relazione con loro, immergervisi, non considerarli soltanto lo sfondo inerte delle azioni e dei comportamenti umani, né banali mete turistiche da visitare e fotografare meccanicamente. Sono anch’essi soggetti, realtà vive all’incrocio tra natura e uomo. Sono territorio, paesaggio, società. I luoghi hanno un nome, talvolta più di un nome, e la toponomastica come il paesaggio ci parla delle funzioni e delle trasformazioni delle località che ogni giorno distrattamente frequentiamo. Come le persone, i luoghi nascono e muoiono, ma essi possono vivere molto più a lungo, scandendo quella che Emilio Sereni – il più Importante storico del paesaggio agrario italiano – chiamava “una prassi di generazioni”. Sono i primi spunti che mi vengono alla mente dopo aver letto questo libro di Alessandro Colletti, che potremmo definire una genealogia dei luoghi, una biografia o forse quasi un’autobiografia territoriale nella quale la storia diventa non più soltanto fattore d’identità, ma anche contenitore di prospettive future.
La storia e la geografia si intrecciano. Da Caselli al Consalvo, da Gualda al Castellare si distende il territorio di Monteverdi e di Canneto per quasi 100 chilometri quadrati. Ci troviamo in un’area periferica della Toscana, in quella che a lungo è stata l’Alta Maremma. Ma periferia non si nasce, si diventa. Pertanto, il libro di Colletti è anche una storia dei margini, dei confini come dice lui fin dal titolo, una carrellata ben scritta di storia e di storie: le fondamenta antiche, l’organizzazione medievale del territorio, la decadenza dell’età moderna, la riorganizzazione otto-novecentesca e infine il declino rapido dell’età contemporanea. Nell’ultima fase questi luoghi – campagne o piccoli paesi – sono stati colpiti dall’esodo rurale, dall’abbandono che li ha quasi devitalizzati come contraltare del boom economico; ora c’è un timido ritorno alla campagna, mosso dalla necessità di un nuovo stile di vita che passa anche dalla rigenerazione di luoghi abbandonati, traditi, feriti e qualche volta perfino derisi dal modello di sviluppo consumistico, urbanocentrico e capitalistico dell’ultimo secolo.
Ecco, il libro di Alessandro Colletti è figlio di questo approccio, un tentativo di ridare voce a luoghi che l’avevano perduta. Sono processi di carattere generale visti qui attraverso lo sguardo interno del territorio, osservati dai poderi, dai boschi e dalle antiche badie, misurati sulla dimensione locale della vita. Perché la storia si fa nel tempo, ma anche nello spazio; i fatti avvengono in certe date o periodi, ma succedono sempre da qualche parte, in un luogo o in un altro. Così l’autore intreccia tempi e spazi, come se dissolvesse la cronologia in un continuum di funzioni vitali per le quali l’insediamento umano si lega sempre alle risorse naturali, che siano l’acqua o il legname, la terra o l’aria.
Nei luoghi ci stanno le persone: tanti contadini, pochi signori, poi pastori, boscaioli e altri individui in cerca di fortuna che migrando hanno popolato a più riprese queste terre di Maremma, arrivando dalle montagne appenniniche e da altre zone, passando da un podere all’altro, dai piccoli paesi alle campagne e viceversa. È quindi anche un libro di biografie e di genealogie familiari che si intrecciano con quelle di tante località comprese tra il Cornia e il Cecina, due fiumi che incorniciano un territorio vasto, a lungo considerato Pisano e Volterrano in particolare. Un territorio “marittimo”, cioè maremmano, poiché in antico la Maremma era chiamata Maritima. Qui l’aggettivo “marittimo”, non vuol dire sul mare, ma “di Maremma”: fu aggiunto dopo l’Unità d’Italia quando, per distinguerli da altri paesi con lo stesso nome, Monteverdi, Massa, Campiglia, Casale, Monterotondo e vari centri della fascia collinare tra Livorno e il Lazio (tutti nell’entroterra), dovettero allungare il loro nome con la parola “marittimo” o “marittima”. Voleva dire “luoghi di Maremma”, appunto. La Maremma non è un’espressione geografica, ma piuttosto una condizione esistenziale: si tratta di territori debolmente strutturati, con economie che hanno conservato a lungo caratteri seminaturali, dove l’incontro tra uomo e natura era riuscito a mantenere un sostanziale e persistente equilibrio. Un territorio con forti connotazioni agro-silvo-pastorali, nel quale le forze spontanee della natura – dal clima, alla vegetazione, all’acqua – mantengono la loro forza. Pur essendo oggetto di tanti tentativi di ripopolamento e di insediamento, dall’antichità fino all’età contemporanea, quest’area non si è riempita e anche l’urbanizzazione non è andata oltre una certa soglia, tanto che Monteverdi Marittimo – il comune oggetto di questo libro con la sua dozzina di località – ha oggi una densità demografica di 7,5 abitanti per chilometro quadrato, a fronte di una densità media italiana di circa 200. È l’esito di un andamento demografico che ha registrato una forte diminuzione dopo la metà del ‘900, passando dai circa 2.000 abitanti nel 1950 ai 980 del 1971. Poi la discesa è continuata, sebbene a ritmi più lenti e con piccole oscillazioni, fino ai circa 750 abitanti attuali.
C’è spazio, dunque, e lo spazio è diventato una risorsa importante, come ha dimostrato anche la pandemia di questi anni, dicendoci che è un errore concentrarsi troppo e che sono necessari processi di ritorno alla terra, alla ruralità, ai paesi, all’ambiente. In questa ottica, posti come quelli esaminati in questo libro diventano allora territori ricchi di spazio, di risorse, di patrimonio culturale, di naturalità, di salute. La storia ricostruita da Colletti attraverso mappe e documenti, arricchita dallo sguardo antropologico della percezione, ci dice proprio questo: che non c’è il niente; che, come in passato ci sono stati pascoli, boschi e miniere, oggi, nell’era globale, è possibile ritrovare un protagonismo dei territori locali, che riconosca le vocazioni originarie e le coniughi con gli ineludibili processi di innovazione, che trasformi la conoscenza e perfino la leggenda (la percezione, appunto) in una ritrovata coscienza di luogo.
Le vicende degli insediamenti medievali, dei castelli e delle pievi, i passaggi feudali, i contenziosi, le tasse, i rapporti tra la chiesa e il potere politico e tutte le altre cose che hanno innervato nel tempo l’organizzazione del territorio, non ci parlano solo del passato, ma offrono indicazioni per capire il senso delle trasformazioni già avvenute, aiutandoci a governare quelle future. Ci spronano soprattutto a dare valore al patrimonio territoriale: a quello materiale come a quello immateriale. A conoscerlo, a tutelarlo, a renderlo fruibile per le attuali e le future generazioni. Una biografia territoriale, dunque, che si fa anche autobiografia, narrazione emblematica di un effettivo ritorno alla campagna incarnato anche dalla vicenda personale e familiare dello stesso autore.
Suvereto, luglio 2022