Le tracce dei longobardi a Monteverdi Marittimo (Mons Viridis o Monte Viride) non sono numerose, tuttavia la documentazione storica supplisce in termini di qualità.
• La charta dotis del luglio 754
Il monastero di S. Pietro di Monteverdi venne fondato in epoca longobarda in località Palazzuolo, presumibilmente su una preesistente villa romana, e dotato di possessi nel luglio 754 da Walfredo (che ne divenne primo abate), cittadino pisano, figlio di Ratcauso.
Sicuramente Walfredo appartenne ad una famiglia facoltosa, considerando il vasto patrimonio che possedeva e che donò al monastero. Questo personaggio, come voleva una tradizione sette-centesca di origine erudita, è stato identificato con il capostipite dei conti Della Gherardesca ed è stato ritenuto imparentato con la famiglia reale longobarda, anche se storicamente permango-no forti dubbi su queste eventuali parentele. •
La Vita Walfredi
La Vita Walfredi è un documento agiografico di notevole importanza per conoscere le vicende della fondazione del monastero di S. Pietro in Palazzuolo di Monteverdi e i suoi sviluppi nei de-cenni immediatamente successivi. La Vita fu scritta da Andrea, terzo abate del monastero di Mon-teverdi, all’inizio del secolo IX. La Vita Walfredi si articola in quindici capitoli, di cui gli ultimi sei trattano dei miracoli post mortem di S. Walfredo; segue poi una continuatio, in cui si trova la descrizione dell’invasione e della sconfitta dei “Mori” approdati nel porto di Populonia decisi a de-predare la costa e i suoi dintorni. Dagli Annales regni Francorum sappiamo che Populonia fu to-talmente distrutta nell’anno 809 da pirati greci o mori.
La notizia dell’invasione dei Mauri è un elemento prezioso per la datazione della Vita Walfredi. Quest’opera fu scritta, dunque, da Andrea, terzo abate del monastero di S. Pietro di Monteverdi, in due stesure redatte in epoche diverse. La prima stesura finiva al capitolo XV, dopo i miracoli post mortem di Walfredo; fu scritta probabilmente tra la fine del secolo VIII e l’inizio del IX, in “mo-derno tempore”, in tempi, quindi, non lontani dagli avvenimenti narrati.
Il monastero di Monteverdi fu fondato nel quarto anno di regno di Astolfo, tra il luglio 752 e il lu-glio 753, e venne dotato di beni da Walfredo, circa due anni più tardi, nel luglio 754.
• Libri confraternitatum
Il Codex Augiersis, prende il nome da Reichenau, su un’isoletta del lago di Costanza, che in latino si chiamava Augia, fu redatto nella sua prima parte da vari autori nell’824. Alla carta 3 di questo codice si trova un elenco di 56 monasteri benedettini sparsi in tutta Europa, fra cui compare al numero 49 “monasterium Mons Viridis”. Successivamente alle carte 79 e 80 del codice troviamo un elenco di 297 nomi, molti di origine longobarda, di monaci del cenobio “quod Mons Viridis ap-pellatur”. La rete delle abbazie utilizzava questi elenchi per pregare per le anime dei confratelli viventi o defunti dei monasteri collegati e rappresentava un sistema di interscambio culturale, scientifico e religioso.
Prima del 774, anno della fine del regno longobardo (che non rappresenta certo la sparizione della popolazione e della cultura longobarda), il monastero di Monteverdi è citato in due documenti e da tre nel periodo successivo fino all’807.
• Elementi architettonici ed altro
Attualmente, sparse per il paese, sono visibili alcune colonne di granito dell’Elba provenienti dal monastero di Palazzuolo, situato in località Badivecchia: qui sono visibili anche tre colonne di marmo rinvenute nel 1970 circa nella fase di costruzione del podere “San Valentino”. Gli scavi condotti dalla prof. Bianchi dell’Università di Siena hanno messo in luce un corridoio, con funzioni religiose, situato proprio nella cantina del podere. Poco distante sono state trovate alcune tombe.
Il piccolo “museo dei paesaggi” di Monteverdi accoglie due elementi lapidei scolpiti con il classico nodo longobardo o Nodo di re Salomone, oltre ad alcune monete tra cui una rara e preziosa moneta d’argento di Re Berengario I.
• L’ara alla Dea Bellona
Una vasca marmorea conservata nella Chiesa di Monteverdi, proveniente quasi certamente dalla località Palazzuolo di Badivecchia, dedicata alla Dea Bellona e databile fra la fine del I e il II se-colo, rappresenta per Monteverdi il collegamento tra il periodo romano e quello longobardo inizia-to, almeno dal punto di vista dei documenti, con la fondazione del monastero di San Pietro in Palazzuolo.
• La Fonte Santa
Palazzuolo in Badiavecchia, come ci informa la Vita di S. Walfredo, documento che contiene ele-menti storicamente verificati, fu scelto per la fondazione del monastero grazie ad una visione avuta dal Santo: “In quo loco fontem, qui Sanctus dicebatur..” luogo con una fonte santa viene defini-to, il che giustifica ulteriormente la presenza di un preesistente tempio pagano. E santa doveva essere, e lo è anche ai nostri giorni, una così indispensabile risorsa vitale che continua a sgorgare a distanza di secoli. Attualmente è conosciuta come Fonte Maria Antonia: la dedica sembra derivare dal nome della seconda moglie del Granduca Leopoldo II che nel 1833 sposò in seconde nozze la principessa Maria Antonia di Borbone. La dedica della fonte, e la probabile ristrutturazione nelle forme attuali, a Maria Antonia, che a corte era chiamata “Maria Antonietta”, si fa risalire alla metà dell’800. Anche a Firenze nel 1845 le fu dedicata una piazza, oggi piazza dell’Indipendenza. Il periodo del rifacimento della fonte e la nuova intitolazione trovano conferma nella mancanza del toponimo “Maria Antonia” in ogni confinazione ed estimo precedenti alla metà dell’800, anche in quello di Monteverdi del 1793.
La storicità della fonte induce a pensare che l’ara alla Dea Bellona, attualmente conservata nella chiesa di Monteverdi, sia stata ritrovata proprio nei suoi pressi in quanto la tradizione vuole che la vasca (detta anche pila) sia stata usata come abbeveratoio e poi, una volta trasportata nella chiesa all’interno del castello di Monteverdi, utilizzata come fonte battesimale seguendo quindi un per-corso di uso e riuso legato all’acqua come preziosa fonte di vita.
I terreni attorno alla fonte furono posseduti dalla Badia di Monteverdi, poi dai Vallombrosani, quindi dai Paoletti, dai Carducci, dal barone De Rossi e dal Galletti, mentre la fonte rimase sempre di uso pubblico.
Il luogo originario di fondazione del monastero è stato individuato con precisione grazie a delle riprese aeree a volo radente: le immagini mostrano chiaramente il perimetro delle Chiesa e l’abside; purtroppo il sito non è accessibile essendo proprietà privata. Tuttavia nel caso di una futura cam-pagna di scavo le informazioni che ne potrebbero derivare sarebbero di somma importanza, anche per confermare le dimensioni di un cenobio che le fonti dicono arrivasse ad accogliere 160 mona-ci.
Nel 1180 circa la sede del monastero fu trasferita in Poggio Badia, a due chilometri sud-est, e, secondo la tradizione, vi furono portate anche le spoglie di San Walfredo e del Beato Andrea: nel 1781 alcune ossa a loro attribuite furono esumate e riposte nell’Oratorio del Santissimo Sacramento a fianco della
chiesa castellana di Monteverdi. In Poggio Badia rimangono i ruderi della chiesa e del convento, in una posizione dominante, tanto che è stato definito “monastero-fortezza”. Il confronto con altri monasteri benedettini del territorio (San Guglielmo di Malavalle, San Rabano Diocesi Grosseto-Roselle, San Michele alla Verruca Monte Pisano e San Quirico Populonia) mostrano che sia la chiesa che il chiostro di San Pietro di Monteverdi erano molto più ampi di quelli presi in esame. Il monastero fu abbandonato nel 1561 con il trasferimento dei monaci all’interno delle mura, con la costruzione di una casa e una piccola chiesa sempre intitolata a San Pietro, di cui rimane l’attuale toponimo di piazza del Convento.
• Walfredo il Santo longobardo
Il culto di San Walfredo, sostenuto dall’interesse del casato dei Della Gherardesca, ha avuto una forte spinta a partire dalla seconda metà dell’800, lasciando numerose tracce – busti, affreschi, vetrate, stampe e statue – a Monteverdi, Castagneto, Donoratico e Pisa, mentre la leggenda vuole che la statua lignea della Madonna del Frassine fosse in origine custodita nella chiesa del convento di San Pietro di Monteverdi.
Fino ad oggi sant’Anselmo di Nonantola – Nonantola fu una delle tre abbazie italiane, assieme a Monteverdi e Leno, della rete di preghiera dei Libri Confraternitatum – è stato considerato “l’unico santo longobardo di cui ci siano pervenute notizie certe”. In realtà anche Walfredo è stato ricono-sciuto Santo dalla Chiesa e ricordato in vari martirologi.
La Vita Walfredi rappresenta un documento unico nel panorama delle agiografie: è stata scritta dal nipote e terzo abate Andrea, entrato in convento con lo zio Walfredo e testimone diretto delle vi-cende narrate nell’agiografia. Una agiografia di un santo longobardo scritta da un longobardo coevo.
• Toponimi e nomi longobardi
La voce Gualdo (wald = foresta) è longobarda ma ha subìto la trasformazione di W in GU: a Monteverdi esiste una località Gualda, che in passato contava un uguale numero di abitanti di Monteverdi, e l’intero territorio faceva parte del Waldum Domini Regis, il Gualdo del Re.
Anche Cafaggio, deriva da gahagium, terreno (bosco o pascolo), ed è qui attestato il nome di un podere.
Nel corso degli anni a molte persone è stato imposto il nome Walfredo o Valfredo nell’ambito della famiglia Della Gherardesca e a Monteverdi.
Il Comune di Monteverdi ha dedicato a San Walfredo la parte iniziale della via che scende verso sud e che poi prende il nome di via Maremmana.
• I possedimenti di Walfredo
Walfredo dotò il monastero di Monteverdi di un cospicuo ed esteso patrimonio fondiario, che ne fece uno dei cenobi più ricchi della Toscana medievale. I beni erano distribuiti nei territori di Populonia, Volterra, Pisa, Lucca e in Corsica. Questa imponente operazione rese il monastero di Palazzuolo, e il nascente paese di Monteverdi, il centro di una fitta rete di contatti economici. Il mo-nastero era infatti, prima di tutto, un centro di potere, determinante per l’economia del territorio e per lo sviluppo delle aristocrazie locali e rappresentava un punto di attrazione per gli appartenenti a ceti sociali agiati: di fatto la comunità monastica faceva parte di una élite longobarda. Attraverso il monastero fu aperta la strada ad ogni tipo di scambio, in campo culturale, linguistico, liturgico, musicale, artistico, agronomico ed economico.
• Bibliografia essenziale
Karl Schmid, Vita Walfredi und Kloster Monteverdi (Toskanisches Mònchtum zwischen langobardischer und frànkischer Herrschaft), Tübingen, 1991.
Giovanna Bianchi e Giuseppe Fichera, Il monastero altomedievale di San Pietro in Palazzuolo: primi risultati delle indagini archeologiche. Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 2/2006. Firenze, 2007.
Giovanna Bianchi, una ricca bibliografia è disponibile al sito www.academia.edu
Alessandro Colletti e Francesco Alunno, La Badia di Monteverdi. La storia, gli scavi del 1781, la ricerca delle spoglie di San Walfredo. Piombino, 2010.
Alessandro Colletti, Monteverdi e Canneto, storie di confine, Wroclaw, 2022.
Giulio Ciampoltrini, Epigrafia di Populonia romana, in Rassegna di Archeologia n. 12, Firenze, 1995.