• Danza etrusca sopravvissuta fino a noi in Val di Cornia

    Posted on 18 febbraio 2014 by Alessandro Colletti in Storia.

    download (2)DANZA ETRUSCA SOPRAVVISSUTA FINO A NOI IN VAL DI CORNIA

    Gli studi etruschi cominciarono sopratutto nel sec. XVIII ed ebbero un nome (che a noi ormai usi a quello di Etruscologia suona antiquato) quale “Etruscheria”. Nel secolo seguente continuò ad essere coltivato l’Etruscheria e non é cessato neppure ai tempi nostri, quando all’uso prettamente erudito si é aggiunto quello turistico specialmente come richiamo per gli stranieri. L’Elba vuole apparire come terra ricca di reperti etruschi. La vicina costa Tirrenica ha in una sua parte il nome di “RIVIERA ETRUSCA” che ti viene incontro nei tanti cartelli pubblicitari disseminati lungo la via Aurelia.
    Un giorno la stessa era accompagnata solo da cippi miliari e vicino alle città da monumenti funebri. Oggi ha i margini arricchiti da questi cartelloni pubblicitari, ma certo non si può negare di essere in terra “Etrusca”. Nella terra di quella civiltà che ha lasciato tra noi tombe, mura, resti di terme e qualcosa di più che non si mura e non si salda in terra, ma si imprime negli usi e costumi degli uomini passando di generazione in generazione.
    Limito il mio sguardo all’alta val di Cornia e ad una danza che vi rimase fino al termine del secolo scorso(nonostante i tentativi del vescovo volterrano di sopprimerla).
    Don Isocrate Isolani ha descritto reperti etruschi rinvenuti nell’alta val di Cornia e il mio amico Franz Wesendonk ritiene che i resti delle terme di Sasso Pisano, un giorno chiamati bagni della Leccia, non solo sono etruschi ma corrispondono alle terme di Populonia indicate dalla tavola Peutingeriana e raggiungibile dall’Aurelia per mezzo di un diverticolo.
    Vi ha rintracciato vasche, resti di edifici, tronchi di colonne e capitelli misti a ceramiche con sigilli etruschi, tra cui appare il nome di Pupluna:=(Populonia).
    Dall’altra parte della val di Cornia fuori del corno; che ha dato origine secondo me al nome medievale del fiume –(torrente) – con le due punte una che fa capo al Sasso e l’altra lambisce le falde di Lustignano; é rimasta per secoli viva la danza a tre tempi.
    Dice il Pallottino: Danza nella quale si batteva il suolo con un piede tre volte o più genericamente, a tre tempi o no, era una danza saltellante. Ovidio nella sua Ars Amandi evoca i giuochi di Romolo durante quali avvenne il ratto delle Sabine (Al ritmo ancora rude del suonatore di flauto etrusco, quando il mimo batté il piede tre volte sul suolo dell’aia) . Questa danza é riscontrata in una coppia danzante dipinta sulla tomba delle Leonesse. L’uomo e la donna fanno gli stessi gesti battendo il suolo con il piede e tenendo alzata l’altra gamba. Dagli Etruschi il “tripudium”, o come si diceva, il verbo tripudiare, e localmente il nome tripudatio, passò ai latini e da questi al medio evo, nel duplice aspetto di inizio della battaglia e di danza sacra nelle o presso le chiese.
    La danza prendeva il nome da “tres pedes” perché si percuoteva il suolo tre volte con un piede e si accompagnava col suono in tre tempi.
    La troviamo presso i barbari all’inizio di una battaglia . La danza era legata alle feste religiose anzi addirittura ai luoghi sacri, nonostante i tentativi dei vescovi di abolirla. Il Glassarium del Du Gange riporta la notizia che un vescovo, durante la visita pastorale, volendo spostarsi dall’altare maggiore al fonte battesimale posto in fondo alla chiesa, non poté, impedito dai “Trepudiatores” (i tripudianti) che ai tre colpi del piede si erano dati a ballare in tutto il vano della chiesa.
    Dalle notizie generiche passiamo a quelle specifiche di Lustignano che ci portano ad epoca più vicina a noi, con due relazioni di visite pastorali in cui si proibiva il tripudium divenuto tripudatio.
    Mons. Castelli, vescovo di Volterra, nel I576 eseguì la visita pastorale a Lustignano e visitò anche il romitorio di S. Potente, un santo, dicono, venuto dal mare e vissuto in quel luogo forse vestito di abito camaldolese. Nessun documento può darci notizie del Santo; non il martirologio, non i Ballandisti e neppure alcuni libri di cronistoria volterrana che elencano santi venerati nella diocesi. Di lui rimane solo un busto in terracotta che lo raffigura insieme a una catena e un osso di balena.
    Ma ritornando al vescovo visitatore questi trovò l’oratorio (di dimensioni assai piccole) pieno di lino e di legna, con l’altare in mattoni e mezzo mancante il pavimento. Aveva l’oratorio due porte: una principale sulla facciata e l’altra laterale senza l’uscio. Ne era custode Giuliano Don¬doli di Castelnuovo V. di Cecina che abitava con la moglie l’annesso ro¬mitorio.
    Il Vescovo impose al comune, proprietario di tutto, di allontanare entro un mese il Dondoli, di sostituirlo con un uomo celibe che facesse da romito, in una posizione mezza laica e mezza ecclesiastica; di provvedere al pavimento e all’uscio mancante; soprattutto “dulcis in fundo” di non fare più lo tripudatio nella festa di S. Potente. Il Comune do¬vette documentare i suoi diritti davanti alla Curia (ma non sappiamo se eseguì gli ordini vescovili). Certamente uno, forse quello che più premeva al Vescovo, rimase lettera morta. La tripudatio continuò egualmente fino alla seconda metà del secolo scorso, nonostante i tentativi di interromperla cambiando il giorno della festa che era quello del lunedì di pentecoste (il 51° giorno dopo la Pasqua).
    In tale festa, non entro l’oratorio, piccolissimo, ma nelle adiacenze in uno spiazzo si svolgevano due manifestazioni ludiche, una giostra con la lancia, forse una specie modestissima di quella del saracino di Arezzo, e la tripudatio o danza a tre piedi e tre tempi. Anticamente i danzanti saltellavano con un solo piede e contemporaneamente alzavano l’altra gamba.
    Seconda i vecchi di Lustignano, la danza era una specie di sarabanda con rumore e gesti indiavolati, e si svolgeva nell’aia adiacente al romitorio. I danzatori gesticolavano, si agitavano in una ridda impetuosa. Accorrevano a celebrare quella festa anche dai paesi vicini. La festa si trasferì dal lunedì di Pentecoste alla domenica dopo l’Ascensione, ma conservò le sue caratteristiche precedenti.
    Poi fu trasportata nella ex chiesa di S. Giovanni vicino al paese -perseverando la tripudatio-. Nella seconda metà del secolo scorso l’ex chiesa fu ridotta a casa colonica e così finì anche la Tripudatio.
    Nelle vicinanze di Lustignano sempre nella stessa val di Cornia sopravvisse nel medio evo un altro uso e costume divina¬torio etrusco – quello di trascorrere una notte dormendo in un luogo sacra e dai sogni indovinare il futuro. Abbiamo testimonianza che il vescovo di Lucca, proprietario della chiesa di S. Regolo in Naldo, proibì alle donne di dormire in chiesa durante la notte. Senza intenti divinatori quest’uso continuò invece nel santuario della Madonna del Frassine dove passavano la notte dormendo in chiesa i pellegrini dei paesi vicini per partecipare alla festa del lunedì di Pasqua, ma fu energicamente troncata dal vescovo Baldini recandosi personalmente al santuario per impedirlo.
    Quest’uso, se aveva solo in parte una giustificazione per mancanza di mezzi di locomozione, dovendo alcuni giungere a piedi al santuario, oggi non ha più significato e il santuario ha delle sale per accogliere gruppi di pellegrini che vogliono godersi un po’ di ristoro.
    ENRICO LOMBARDI

    Questo Articolo di Don Lombardi è stato pubblicato sui “Quaderni di informazione storica n. 1 “ da la Libreria Bancarella di Piombino nei primi anni ’70.
    Ringraziamo la Libreria Bancarella per la disponibilità.

    Alessandro Colletti

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