In questo estremo comune meridionale della Maremma pisana gli Alleati entrano il mattino del 29 giugno “dopo quattro giorni di battaglia caratterizzata da vigorosi cannoneggiamenti”, dice una relazione stesa in data 1/12/44 dal locale Comitato di Liberazione Nazionale. E’ questo Cln a fare al governatore alleato, su sua richiesta, cinque nomi fra i quali il governatore sceglie sindaco e giunta. ma il Cln stesso dice di essersi costituito solo all’arrivo dei liberatori, con la loro approvazione e senza far riferimento ai partiti, che sarebbero solo “fomentatori di odi personali”. Ancora nel dicembre ’44 esso è formato da “elementi di varie tendenze, non essendo in questo paese costituiti i partiti politici” ( il che risulta essere falso per quanto riguarda il Pci).
Non sorprendentemente, sindaco e giunta si riveleranno in perfetta continuità con la precedente gestione podestarile: cioè espressione del padronato agrario locale.
Inizia così il racconto di Carla Forti nel suo libro Dopoguerra in provincia: microstorie pisane e lucchesi. 1944-1948, dandoci subito un quadro generale della situazione di Monteverdi all’arrivo delle truppe alleate: secondo altre fonti Monteverdi fu liberato il 28 giugno ’44, ma il dettaglio ai fini del suo racconto non risulta importante.
Il caso di un borgo maremmano .
Caso infelice è quello del borgo maremmano di Monteverdi Marittimo, che sembra destinato a rimanere feudo della più potente famiglia locale.
Il comune di Monteverdi – scrive a Vincenzo Peruzzo (prefetto di Pisa dal settembre ’44) in data 19 maggio ’45 il segretario comunale reggente Rigoletto Foggi , maestro nella locale scuola elementare – “vive in pieno regime fascista”: il sindaco Luigi Bottai “non ha mai adempiuto ai suoi doveri di responsabile dell’andamento del comune”; l’impiegata M. V., fidanzata di un amico intimo del sindaco fa tutto quel che le aggrada “ a cominciare dall’inosservanza dell’orario di ufficio”. Per disposizione del sindaco, Rigoletto Foggi non ha nemmeno la chiave dell’ufficio: gli tocca dipendere da questa signorina, la quale lascia accumulare non protocollata la posta di settimane e si fa beffe di lui, essendo “emissaria e strumento” di una “cricca” che pensa solo a boiccottarlo e che fa capo al sindaco stesso.
Se la Prefettura desidera che lui rimanga al suo posto, scrive nuovamente Foggi in data 18 giugno ’45 rivolgendosi questa volta al viceprefetto Speroni e facendo riferimento ad un precedente colloquio verbale, faccia qualcosa. A Monteverdi gli insegnanti non hanno nemmeno l’inchiostro: mancano i vetri alle finestre; nonostante le reiterate richieste della popolazione, non è stata istituita la refezione scolastica: i legumi secchi assegnati a questo scopo restano nei sacchi al Consorzio Agrario, in tempi di tanta fame. Neanche i cereali assegnati al Comune dalla Sepral vengono ritirati e distribuiti. I lavori edilizi appaltati non vengono eseguiti. L’erogazione dell’energia elettrica è sospesa. Insomma, tutti i bisogni della popolazione vengono ignorati. Lui, Rigoletto Foggi, sa benissimo di essere malvisto dalla “cricca”, e che nel Comitato di Liberazione – “se questo si può chiamare Comitato” – il presidente Alberto Moroni fa di tutto per far rientrare in ufficio l’ex segretario comunale fascista, di cui è “parente stretto”. Il parente è Dino Moroni a lungo e contemporaneamente segretario comunale e segretario politico.
I giudizi di Rigoletto Foggi trovano conferma in un testo precedente e d’altra fonte. Già il 21 dicembre ’44, infatti, il Cpln di Livorno ha trasmesso per competenza a quello di Pisa la seguente denuncia, pervenutagli dalla sezione Pci di Castagneto Carducci, a carico di I.B., “fascista della prima ora, fondatore del fascio di Monteverdi”:
…detto B. gestisce in Monteverdi il monopolio dei Sali e tabacchi, è padrone assoluto dell’energia elettrica del paese (Ditta I.B. e figli), possiede un’impresa di autotrasporti con due camion e un autotreno, è padrone di tre coppie di macchine trebbiatrici, possiede un molino con relative macchine elettriche, un frantoio, ha una vendita di materiale edilizio, possiede una fornace di calce. Gestisce l’impresa imbrecciatura strade e, per finire, tiene il Consorzio e Ammasso grano.
Il B. si è guadagnato tutto ciò grazie ai suoi titoli fascisti e ancora oggi continua a spadroneggiare, sicuro dell’impunità.
Riallaccia i fili dell’energia elettrica soltanto a chi ha simpatico, i suoi operai lavorano 9 ore al giorno ricevendone una paga che non supera le 40 lire giornaliere. Sui trasporti si fa pagare il quadruplo del prezzo stabilito.
Per rendere ancora più tranquilla la sua dittatura sulla popolazione, il suo segretario amministrativo, tale A.M., si è autoeletto presidente del Cln e quindi si è scelto per membri tutte le persone di cui poteva aver bisogno. Il sindaco Luigi Bottai segue la corrente, mentre il vicesindaco è al servizio di A.M. . A Monteverdi i repubblicani devono recarsi in Comune tutti i giorni mentre il B. è libero cittadino .
Ricevuta questa comunicazione, il presidente Tozzi ha trasmesso informazioni su Ilario B. all’Intendenza di Finanza, in data 15 gennaio ’45, con la rituale formula “si segnala a codesto ufficio affinché voglia provvedere urgentemente al sequestro dei beni a norma della nota legge sull’epurazione”.
Non sembra che Tozzi si sia ulteriormente interessato del caso. E’ Peruzzo a scrivergli in data 17 luglio ’45 che la “trascuratezza e cattiva volontà” della giunta di Monteverdi, inadempiente anche nell’allestimento delle liste elettorali, “non può più essere tollerata”. Il Comitato provinciale di Liberazione nazionale è perciò pregato di indicare cinque nominativi di “persone capaci per serietà, onestà e intelligenza, cui possa essere affidata l’amministrazione di detto Comune”, perché è intendimento del prefetto sostituirla.
Ma la cosa non è così semplice: nonostante i ripetuti solleciti, il 20 settembre ’45 il Cpln non ha ancora fornito quei 5 nominativi. Presumibilmente perché non può consultare sul merito in Cln locale credibile. Creato “senza far riferimento ai partiti”, il Cln di Monteverdi è stato varie volte sciolto e ricostituito, ma continua a non dare alcuna garanzia di conformità al regolamento, perché le uniche sezioni di partito esistenti nel paese sono quelle comunista e socialista. Così Tozzi scrive il 29 settembre alla Federazione pisana della Democrazia Cristiana invitandola a istituire urgentemente a Monteverdi “una sezione fra i suoi iscritti” affinché si possa “addivenire alla costituzione del Cln a Monteverdi Marittimo e in tal modo comporre le questioni locali”.
Interlocutori poco ascoltati del Cpln sono stati finora a Monteverdi solo il segretario del Pci Elvio Cappelletti e quello della “Sezione Partigiani” Narciso Focacci, che si dichiara azionista: entrambi persone digiune di regolamenti e procedure, ma perfettamente consapevoli del fatto che a Monteverdi i maggiorenti fascisti di ieri continuano a essere padroni del paese come scrivono in una lettera del 15 marzo ’45.
Più di una volte i due hanno preso l’iniziativa di rivolgersi al Cpln per informare che a Monteverdi “le cose si svolgono irregolarmente” e chiedere che venga “tolto dalla carica di presidente il signor Alberto Moroni, prima “apolitico” e ora democristiano, il quale “fa e disfa tutto a suo piacimento” come segnalano con lettera dell’8 agosto ’45.
Ma M. e i suoi referenti, consapevoli dell’aria che tira, si tolgono d’impaccio affondando il sindaco. Il 9 agosto M., in qualità di presidente del Cln, invia al prefetto e per conoscenza al Cpln una relazione sull’inadeguatezza e cialtronaggine di sindaco e giunta, chiedendo che l’amministrazione comunale venga completamente rifatta. Peruzzo trova “giustificate le ragioni che hanno consigliato codesto Comitato di domandare lo scioglimento dell’attuale giunta e resta “in attesa di conoscere i nominativi di persone che, per capacità e dirittura, possano essere chiamate a ricoprire le cariche di cui sopra”. Ma resta in attesa un bel po’.
Finalmente il 20 novembre ’45 si riunisce a Monteverdi un Cln regolare composto da due democristiani, ovviamente uno è Moroni, due socialisti e due comunisti. A maggioranza esso elegge presidente Elvio Cappelletti e segretario Aladino Vascelli, di professione colono. Questa, nella prosa di Vascelli, la saggia deliberazione che il Cln prende:
Ritenuta necessario ed urgente, decidere a quanto aveva richiesto il Cln provinciale con lettera del 17 ottobre’45, con la quale si richiedeva un nominativo per eleggere il Sindaco, dato che l’attuale Sindaco è da tanto tempo dimissionario, dopo varie discussioni, è stato deciso ad unnimità d’invitare il Cln provinciale, a far presente all’Eccellenza il Prefetto, che tutti i partiti costituiti desiderano che sia inviato un funzionario di codesta Prefettura, dato che necessita una revisione dell’Amministrazione passata.
Ma Monteverdi è sede lontana e scomoda. Non viene mandato un bravo funzionario di Prefettura, bensì Peruzzo nomina commissario prefettizio lo stesso Alberto Moroni, “per mancanza sul posto di altri elementi moralmente e politicamente capaci”, come i prefetto scrive al Ministero in data 1 dicembre ’46.
In tutta la provincia di Pisa solo il comune di Monteverdi ha un commissario prefettizio.
Quando il 13 gennaio ’46 Tozzi torna a chiedere al Cln di Monteverdi i nominativi per la giunta, la risposta a firma del presidente Cappelletti è la seguente: sindaco Vascelli Aladino; assessori Giorgi Torpè, cantoniere, Granucci Torquato, agricoltore, Barsotti Giulio, operaio, Ristori Alcide, minatore. Ma il Cpln sceglie diversamente:
…questo Cln, presenti i partiti d’azione, democristiano, socialista e comunista, ha risolto la questione della Giunta comunale di Monteverdi M.mo nel seguente modo: sindaco Alberto Moroni, democristiano; assessori effettivi Vascelli Aladino, comunista, Giorgi Torpè, socialista; assessori supplenti Granucci Torquato, socialista, Ristori Alcide, comunista.
E’ possibile che nessuno di quei contadini, operai e minatori maremmani fosse in grado di tenere la modesta contabilità del comune di Monteverdi e di sbrigarne la corrispondenza, ma c’era per questo il segretario comunale. Più difficile era per loro, assessori digiuni di leggi e procedura, esercitare un qualche controllo sull’operato del sindaco Moroni. Che costui – segretario amministrativo del potente Baldassarri – fosse in tutto il Comune il solo “moralmente e politicamente capace” di amministrare la cosa pubblica suona abbastanza bizzarro.
Il 20 dicembre ’45, mentre il Moroni era commissario prefettizio, dei sindacalisti della Federterra di Pisa si recarono a Monteverdi. Segretario della Federterra provinciale era Ilio Paperi , già presidente del Cln di Crespina sciolto meno di un anno prima dagli Alleati. Di ritorno a Pisa, Paperi scrisse all’Ispettorato dell’Agricoltura e per conoscenza al prefetto:
Da una gita effettuata nella zona del Comune di Monteverdi, abbiamo rilevato una situazione critica sotto tanti aspetti. La Commissione Agricola non funziona e il Sindaco è senza giunta. Nell’occasione fu possibile a noi fare una riunione fra Sindaco, Cln, e Segretario della Lega Contadini. Ci sono i bambini senza latte, i vecchi ed ammalati, mentre circa 10 vacche lattifere non sono controllate anche perché la sua rendita è minima per la scarsità di foraggi e la mancata distribuzione della semola locale la quale dovrebbe invece essere assegnata ai produttori di latte. Ci hanno incaricato di chiedere una assegnazione di semola, semolini od altro di simile onde dare la possibilità a queste mucche di produrre un minimo di latte per diminuire la deficienza accennata. Fiduciosi che vogliate esaminare il nostro esposto, salutiamo.
A Paperi la pur breve esperienza politica e sindacale del dopoguerra aveva già insegnato ad organizzare, decidere, comunicare.
Nel povero e scontentissimo comune di Monteverdi le elezioni amministrative della primavera del ’46 furono vinte dalle sinistre. Fu sindaco Aladino Vascelli, con una giunta interamente composta di mezzadri, contadini e operai. Ma ressero per poco tempo. Alle elezioni politiche del ’48 prevalse la DC e subito dopo la giunta fu messa in crisi. Poi venne L’Ente Maremma: e a lungo, prima di lasciare la terra per diventare operai, i contadini di Monteverdi lasciarono i partiti di sinistra nella speranza di diventare assegnatari di un podere, o di una casa.
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Il fronte di conflittualità politica vede contrapporsi i rossi e i bianchi, ossia i socialisti e i comunisti contro i cattolici: i comizi, le feste popolari e soprattutto i funerali sono i teatri principali di questa contrapposizione, ma l’irascibilità è tale che le scintille per i piccoli tafferugli sono davvero un po’ in ogni luogo.
Nel maggio del 1945 a Monteverdi Marittimo, si assiste ad una “delle solite baruffe”, non meglio specificata; si intuisce che “i rossi “ abbiano agito ai danni del parroco e che il tutto abbia rischiato di degenerare in rissa. In preparazione della locale festa religiosa il parroco chiede la presenza dei carabinieri: processione e altre manifestazioni finiranno così con l’essere “scortate” .
A conferma dell’abbandono dei partiti di sinistra Martelli Pier Nello, La resistenza nell’alta maremma, Pisa, 1978 scrive: “Nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946 la Repubblica ebbe il 78,3% dei voti con la punta massima di Massa Marittima del 93,3% e quella minima di Monteverdi Marittimo del 54,2%
Per l’elezione dell’Assemblea Costituente, nella consultazione del 1946 che si può considerare la consacrazione ufficiale della politica antifascista e della resistenza armata, i gruppi d’ispirazione socialista e repubblicana, Pci-Psiup-Pd’A-Pri, ottennero l’88,8% dei voti a Massa Marittima, l’82% a Folloniza, il 65,5% a Castagneto Carducci, il 65,7% a Suvereto, il 75,9% a Castiglione della Pescaiail 78,6% a Campiglia Marittima e il 49,1% a Monteverdi Marittimo.<"confermando la vocazione moderata di Monteverdi. Per una ricostruzione puntuale della situazione postbellica a Monteverdi si veda il libro di Giuliana Balletti, Monteverdi, cronache del Novecento, Campiglia, 2004, nel quale ritroviamo molti dei personaggi citati e numerose testimonianze.