Recentemente alla sinistra della porta della chiesa di S. Andrea e dell’Oratorio del SS.mo Sacramento sono state applicate delle targhe esplicative che sinteticamente raccontano la storia degli antichi edifici. L’operazione si colloca nell’ambito delle iniziative sui “luoghi della fede” organizzate dalla Regione Toscana in concomitanza con questo anno giubilare. Finora i visitatori e i turisti non avevano alcuna informazione su quanto andavano vedendo, ora potranno almeno conoscerne le informazioni essenziali e ciò rappresenta un piccolo, piccolissimo passo verso una valorizzazione delle risorse storiche e architettoniche del territorio.
I testi delle targhe contengono alcune imprecisioni che tendono a sminuirne il valore comunicativo. Nel dettaglio, descrivendo la chiesa di S. Andrea si scrive che l’ara romana venne trovata presso il podere S. Valentino in Badiavecchia.
Come già scritto nell’articolo “L’ara della dea Bellona a Monteverdi” pubblicato nel 1998 sul numero 2 della rivista “La Comunità di Pomarance”, alcuni “autori indicano che la pila – altro nome con la quale viene identificata l’ara dedicata alla dea Bellona – è stata trovata in località Badiavecchia, durante gli scavi, negli anni ‘70, per la costruzione del podere S. Valentino: in effetti furono trovate colonne di marmo e di granito, monete e tombe romane, ma non la pila, la cui prima citazione è del Gori nel 1727, due secoli e mezzo prima dei recenti scavi in Badiavecchia, e fin dal 1751 ne viene segnalata la presenza nella chiesa di Monteverdi.” Quindi da almeno 250 anni l’ara si trova nella chiesa di S. Andrea e non sappiamo, attualmente, dove fosse collocata in origine, quando e da chi è stata ritrovata e trasportata a Monteverdi.
Quanto alla targa dell’Oratorio del SS.mo Sacramento si afferma che le spoglie di S. Walfredo, del beato Andrea e del frate Leonardo, quest’ultimo lì defraudato del titolo di beato, sono tumulate sotto l’altare dedicato a Walfredo, quindi a destra dell’ingresso.
In verità l’altare dedicato a S. Walfredo abate è stato eretto solo nel 1909, a spese del conte Giuseppe Della Gherardesca, come rammentato nella lapide del basamento, mentre le presunte spoglie mortali dei tre monaci benedettini furono tumulate, nel 1781, sotto l’allora unico altare esistente nell’Oratorio, l’altare centrale detto maggiore.
Alla luce della rapidità con cui cambiano le situazioni, basti ricordare il recente furto che ci ha privati della tela raffigurante La Madonna con Bambino conservata in sacrestia, occorre interrogarsi sul futuro di queste targhe, se sostituirle, correggerle o semplicemente lasciarle tal quali, affidando ad una pubblicazione maggiormente dettagliata l’incarico di ristabilire queste semplici verità storiche.
Il 15 maggio 1999 apparve sul Tirreno un articolo dal titolo “Si restaura l’abbazia di San Piero”. Per inciso non abbiamo in Italia nessun santo con questo nome; forse l’uso del diminutivo familiare Piero si ricollega al diminutivo Badiola o Badiuola utilizzato nelle carte topografiche dei secoli XVII e XVIII per identificare i ruderi della Badia e per distinguerla dalla più grande Badiavecchia. Un ulteriore diminutivo ci porterebbe ad avere un santo …martirizzato dalle barzellette.
Nel testo si legge: “L’antico convento benedettino si trova in località Acquaviva, appena più in basso dell’attuale capoluogo comunale.”. Il cronista o chi per lui si rifà a quanto scrive don Socrate Isolani nel suo libro “L’abbazia di Monteverdi e la Madonna del Frassine” pubblicato nel 1937 in cui, a pagina 51, leggiamo che il monastero:” …prese il nome di badia a Palazzuolo e per esservi una sorgente di acqua si aggiunse il nome di Palazzuolo in Acquaviva” . L’Isolani prende un abbaglio e si confonde col monastero di Acquaviva, ugualmente al nostro intitolato a S. Pietro, citato nel 1004 nell’atto di fondazione del monastero di S. Maria di Serena e in un manoscritto del 1109. Di questo monastero da tempo non rimane alcuna traccia ma si suppone fosse ubicato presso l’attuale Poggio del Romitorio a nord est di S. Vincenzo.
L’aggiunta di Acquaviva, toponimo molto evocativo e suggestivo, ben si adattava sia alla presenza della fonte in Badiavecchia che al racconto, contenuto nella Vita Walfredi, circa il luogo di fondazione della Badia stessa, ma risulta senza alcun fondamento storico.
D’altro canto il testo dell’Isolani, come ha segnalato Gabriella Giuliani nella sua bella tesi sulla storia della Badia, a 10 anni di distanza purtroppo non ancora pubblicata, ha rappresentato per la popolazione locale la fonte quasi esclusiva di documentazione.
Alessandro Colletti
Monteverdi, febbraio 2000.