• Carlo Bartolozzi, monteverdino, prete, antifascista.

    Posted on 2 maggio 2014 by Alessandro Colletti in Storia.

    Di Don Carlo Bartolozzi, nativo di Monteverdi, Celestino Giorgerini ha scritto questo ritratto, pubblicato ne I Quaderni del Circolo Culturale “Emilio Agostini”
    di Sassetta. La biografia di Don Carlo merita di essere conosciuta e ricordata.Don Carlo Bartolozzi

    Don Carlo Bartolozzi nacque a Monteverdi Marittimo
    (Pisa) nell’anno 1882 da Giovanni e da Giovannetti
    Antonietta; morì a Sassetta nell’anno 1958.
    Il padre, proprietario terriero e coltivatore diretto
    dovette faticare non poco per tirare avanti decorosamente la numerosa famiglia (sei figli) ma non poté portare a termine il suo gravoso compito perché la morte lo sorprese nel vigore degli anni quando Carlo, il maggiore, appena ventiquattrenne stava per essere ordinato sacerdote e Agostino, il minore, non aveva ancora compiuto i due anni.
    La vedova, la signora Antonietta come tutti la chiamavano, apparteneva a una cospicua famiglia campigliese ed era donna di specchiata virtù e dai tratti squisitamente signorili che ne rivelavano il lignaggio. Trovandosi, ancor
    giovane, a dover affrontare il difficile compito di guidare e
    sostenere la sua numerosa prole, chiese aiuto al figlio
    maggiore Carlo che, non appena fu ordinato sacerdote,
    divenne contemporaneamente pastore di anime e padre di
    famiglia.
    Questo io posso dire e testimoniare perché mi fu
    narrato da Don Carlo stesso col quale, fino al giorno della sua
    dipartita, ebbi pressoché quotidiana frequentazione.
    Nel novembre del 1908 a Don Carlo Bartolozzi venne
    concesso il beneficio della Parrocchia di S. Andrea Apostolo in
    Sassetta, in sostituzione di Don Antonio Giorgerini scomparso
    qualche tempo prima. Rimarrà Parroco di Sassetta fino alla sua
    morte, cioè per 50 anni.
    Don Carlo è stato davvero nella sua movimentata vita,
    un personaggio straordinario. Di lui sono stati raccontati, e si
    raccontano ancora, aneddoti e fatti che non sempre
    rispondono a verità ma che, se non altro per il loro numero
    dimostrano quale interesse e quale curiosità ha destato e desta
    nelle genti di queste terre questo personaggio il cui ricordo è
    ancora vivo a tanti anni dalla morte. Fattarelli, storielle e
    aneddoti, veri o falsi che siano, non costituiranno oggetto di
    questo mio modesto lavoro di ricerca che si propone
    soprattutto di chiarire e far conoscere l’atteggiamento tenuto
    da Don Carlo nei confronti degli avvenimenti politici e militari
    che hanno travagliato la storia della nostra nazione nella prima
    metà del secolo. Voglio, però, approfittare di questa occasione
    per cercare di sfatare, mi auguro una volta per tutte, la diceria
    secondo la quale Don Carlo era così tanto anticonformista e
    così poco prete che quando si arrabbiava non esitava a
    bestemmiare come un qualunque toscanaccio, aggiungendo,
    dopo la bestemmia, a mo’ di giustificazione, un “Quando ci
    vuole, ci vuole !”
    Tengo, per amore della verità e per il rispetto che
    avevo e che conservo tuttora di questo sacerdote, a dichiarare,
    nel modo più perentorio che, nonostante certi atteggiamenti
    apertamente anticonformisti e spregiudicati di cui faceva
    sfoggio, mai e poi mai, in tanti anni che l’ho frequentato, l’ho
    udito pronunciare parole o farsi che assomigliassero anche
    lontanamente a una bestemmia.
    Dal racconto o dalla lettura di alcuni aneddoti riferiti a
    don Carlo, si potrebbe trarre la fallace impressione di trovarci
    di fronte a una macchietta o a un mattacchione che si divertiva
    a mettere alla berlina se stesso e gli altri, ma non è così. Don
    Carlo era una persona serissima, intelligente e perspicace ma
    dotato anche di una buona carica di “sense of humour” che,
    qualche volta, si concretizzava in atti o parole che potevano
    muovere al riso, ma niente più di questo.
    Singolare era il suo modo, ruvido e senza preamboli,
    di rivolgersi agli altri, sia per lodarli che per rimproverarli.
    Siccome non conosceva i mezzi termini, affrontava le questioni
    con poca diplomazia e, nei periodi elettorali, io e i miei amici
    cercavamo di tenerlo lontano dall’agone politico per paura che
    ci facesse dei guasti. Però, quando si trattava di cose di una
    certa importanza, o quando era richiesto il suo arbitrio per
    dirimere questioni fra persone, riusciva ad essere
    intelligentemente diplomatico e a dare saggi consigli.
    Di media statura, ma dotato di un fisico poderoso e di
    una forza non comune che consigliava eventuali
    malintenzionati a stargli alla larga, dimostrò sempre, nelle
    situazioni più difficili, una freddezza ed un coraggio che
    rasentava la temerarietà. Come quando, in anni davvero bui,
    alla stazione di Campiglia un gruppo di malintenzionati gli
    aizzò contro un grosso cane-lupo o come quando un gruppo di
    forsennati si radunò davanti alla sua abitazione sfidandolo, se
    ne avesse avuto il coraggio, a uscire di casa. E lui uscì
    (nonostante il tentativo del nipote Mario di trattenerlo) deciso
    ad affrontare da solo decine di persone che, impressionate dal
    suo coraggio o, forse, resesi conto dalla sua reazione della
    gravità di ciò che stavano per fare, si ritrassero e se ne
    andarono.
    Stava abitualmente in giardino o “nell’orto” come
    diceva lui, in pantaloni e camicia ma mai, dico mai, l’ho visto
    varcare il cancello di casa sua senza indossare la tonaca ed il
    colletto bianco.
    Nonostante un lieve strabismo, sul quale scherzava da
    sé, era senz’altro un bell’uomo.
    Le funzioni religiose che Don Carlo officiava si
    svolgevano, specialmente in occasione delle ricorrenze più
    significative, in un’atmosfera di particolare solennità, sia per il
    fastoso addobbo della chiesa, sia per i ricchi paramenti
    indossati dall’officiante, sia per i canti che Don Carlo intonava
    con una voce chiara e potente a cui ben presto si aggiungevano
    quelle del coro fra le quali si distingueva per potenza e
    bellezza la magnifica voce baritonale del parrocchiano
    Arcangelo Giorgerini.
    Erano così belle e suggestive le cerimonie religiose che
    si celebravano nella Chiesa di S.Andrea e così armoniosi i canti
    che anche il Dr. Giacomo Sonnino medico-condotto di
    Sassetta, grande cultore di musica e finissimo esteta, vi
    partecipava spesso, ammirato, pur essendo ebreo.
    La canonica era arredata molto modestamente ma non
    mancava dell’essenziale. La porta era quasi sempre aperta
    anche in assenza del padrone. Infatti, quando la radio
    trasmetteva la cronaca delle partite di calcio, io e i miei amici,
    allora giovanissimi, eravamo soliti andarle ad ascoltare alla
    radio del prete, anche se il prete non c’era.
    Cucinava molto spesso da sé e, siccome aveva fama di
    non essere molto rispettoso delle norme igieniche, diceva:
    “Dicono che son sudicio, ma la mia tavola è sempre affollata di
    commensali.” E infatti gli ospiti non mancavano mai,
    compreso Sandrone, il più povero del paese, che da Don Carlo
    aveva un piatto assicurato tutti i giorni. Siccome non sono
    l’agiografo di Don Carlo Bartolozzi, ho il dovere di dire che,
    come tutti gli uomini aveva i suoi bravi difetti che riconosceva
    apertamente e che gli venivano non molto cristianamente
    rinfacciati dai suoi parrocchiani. Durante la sua vita non ebbe
    mai grandi disponibilità di denaro tantochè, per far fronte alle
    spese correnti, dovette alienare anche quel po’ di patrimonio
    che aveva ricevuto in eredità dal padre. Morì povero. Così
    povero che il curatore negli ultimi giorni di vita delle sue
    magre risorse, mi disse che era necessario prepararsi a fare una
    colletta fra amici per far fronte alle spese per le medicine. La
    morte, intervenuta dopo una penosa e lunga agonia, rese
    inutile questo nostro ultimo atto di affetto.
    IL RAPPORTO CON LA POLITICA
    Col carattere che aveva, Don Carlo non avrebbe mai
    dovuto interessarsi di politica. La politica richiede
    duttilità, moderazione, propensione al compromesso e,
    magari, anche un po’ di ipocrisia. Don Carlo era tutt’altro che
    duttile, tutt’altro che moderato, rifiutava i compromessi e
    odiava l’ipocrisia. Per questo, non appena, forse suo malgrado,
    si avvicinò alla politica, ne rimase invischiato e finì per
    diventarne vittima.
    Sincero e fervente patriota, nel 1916, in pieno conflitto
    mondiale, chiese di essere arruolato come cappellano militare,
    ma la domanda non fu accolta per mancanza di posti
    disponibili. (Vedi lettera del Vicariato di zona del 08/07/1916,
    Archivio Parrocchiale).
    Il 15 Giugno 1922 si fece promotore della costituzione
    in Sassetta di una sezione dell’Unione Nazionale Reduci di
    guerra che, a quanto si può desumere dai documenti
    dell’epoca, era in qualche modo antagonista dell’Associazione
    Nazionale Combattenti di ispirazione fascista. Ad appena un
    mese dalla sua costituzione, la sezione fu oggetto di
    sopraffazione da parte dei fascisti, come si legge in una lettera
    del Comitato Centrale dell’Unione Nazionale Reduci di guerra
    datata 21/07/1922.
    Già durante la guerra Italo – Turca, come ricorda in
    una lettera datata 23/01/1923, indirizzata a un “Eccellenza”
    non meglio specificata, Don Carlo esternò pubblicamente il
    suo patriottismo accogliendo al suono di campane e con
    funzioni di ringraziamento, il reduce Rosino Giorgerini e il
    24/10/1912 officiò solenni funerali in suffragio delle anime dei
    caduti in guerra, dopo aver pavesato la chiesa con arazzi e
    bandiere tricolori (vedi Arch. Par.). Durante la grande guerra
    si interessò della C.R.I. e resse, su richiesta del Sindaco, il
    Segretariato Informazioni e Assistenza Famiglie Combattenti,
    guadagnandosi i ringraziamenti del Sindaco e l’appellativo di
    “guerrafondaio di una parte del popolo”.
    Il 17 novembre 1918 celebrò solenni funerali ai caduti
    paesani. Tutto questo Don Carlo ricorda nella lettera sopra
    citata indirizzata a “S. Eccellenza” per dimostrare che
    l’appellativo di antipatriota era immeritato.
    Ed è significativo che nei suoi scritti, specialmente in
    quelli,per così dire, autodifensivi, Don Carlo insista nel
    rigettare sdegnosamente e puntigliosamente l’accusa di
    antipatriottismo e si sforzi di dimostrare, citando fatti e
    circostanze precise, l’infondatezza di tale accusa, senza
    mostrare di accorgersi che si trattava solo di un pretesto e che
    il vero motivo per il quale lo si perseguitava non era
    l’antipatriottismo, ma l’antifascismo che risultava evidente
    dalle sue continue denunce delle malefatte del regime.
    E infatti i suoi conclamati meriti patriottici non gli
    servirono a niente perché nella notte fra il 7 e l’8 di agosto del
    1922 una squadraccia di fascisti, proveniente forse da
    Campiglia, venne a Sassetta per dargli, come si diceva, una
    buona lezione. E buon per lui che qualcuno lo avvisò in tempo
    dandogli la possibilità di rifugiarsi, insieme al fratello
    Agostino allora giovanissimo, sulla torre dell’orologio dove i
    fascisti non lo trovarono o, forse, non vollero trovarlo, anche
    perché sapevano che era armato e avrebbe venduta cara la
    pelle. Armati di grossi bastoni di albatro che terminavano in
    fondo con una specie di ciocco, i componenti della
    squadraccia, non potendo usare le armi sulla testa di Don
    Carlo, le usarono contro la mobilia e le stoviglie che
    distrussero completamente.
    Rimase intatta solo una tazza: una bella tazza di
    ceramica decorata con graziosi fiorellini celesti, che fu
    conservata gelosamente come un prezioso cimelio da Don
    Carlo che, per il resto della sua vita, la usò ogni mattina per il
    caffellatte.
    Anche la bicicletta si portarono via i fascisti e Don
    Carlo continuò a cercarla invano per molto tempo rivolgendosi
    addirittura al più alto in grado dei fascisti della zona, un certo
    Cionini, il quale gli risponde di “non essere riuscito a trovarla”
    ne’ di sapere chi la possegga e coglie questa occasione per
    consigliarlo ad essere meno “vivace” e a ritirare le denunce
    fatte contro il Capitano Pelamatti ed il Ten. Cleri ecc.
    La spedizione punitiva contro il Parroco di Sassetta
    suscitò molto clamore. Fu persino presentata alla camera una
    interrogazione da parte dell’On.le Gronchi. Don Carlo, che
    credeva di non meritare una così severa punizione, continuò a
    domandarsi per tutta la vita quale fosse stato il vero motivo
    dell’aggressione. Secondo me, una spiegazione molto
    plausibile la dà lui stesso nella già citata relazione inviata a “S.
    Eccellenza” là dove scrive “Ho deplorato i fascisti, gli antifascisti,
    gli ultimi arrivati, le violenze ingiuste, la degenerazione del
    sentimento nazionale in vendetta personale”. Queste
    “deplorazioni” spesso mirate, fatte ad alta voce e senza mezzi
    termini anche “coram populo” non erano molto gradite al
    Partito che, nel tentativo di tappare una bocca scomoda, corse
    ai ripari nel modo che gli era più congeniale: la violenza.
    Può darsi anche che ci sia stato, come dubitava Don
    Carlo, il concorso di qualche vendetta personale ma anche il
    “vendicatore” va cercato fra coloro che egli aveva bollato come
    violenti.
    Dalla distruzione della canonica in poi Don Carlo
    visse sempre come sorvegliato speciale, trovandosi spesso in
    mezzo a guai. Anche il Vescovo di Massa ebbe a esortarlo ad
    essere prudente, a tacere, ma la prudenza era una virtù che
    Don Carlo non conosceva e, spesso, parlava a ruota libera. I
    suoi atti, i suoi propositi, le sue conversazioni, le sue omelie,
    furono costantemente oggetto di attenzione da parte delle
    autorità che non gli lesinarono ne’ critiche, ne’ rampogne, ne’
    denunce. Fu proposto per il confino di polizia, ma riuscì in
    qualche modo a scamparla. Il Procuratore del Re di Volterra lo
    convocò nel suo ufficio per le ore 11 del 3 gennaio 1923 per
    interrogarlo. Nulla è trapelato di quel colloquio ma c’è da
    giurare che Don Carlo non si spostò neanche di un millimetro
    dalle sue posizioni.
    Interrogatori (anche da parte del Segretario della
    Federazione Fascista di Livorno), denunce, intimidazioni, si
    susseguirono praticamente fino alla fine del fascismo senza
    ottenere dall’interessato, il quale badava a dire che era un
    patriota, ne’ ritrattazioni ne’ atti di resipiscenza. Intanto, per
    tutta la durata del ventennio, fecero bella mostra di sé,
    attaccati ad una trave dello scrittoio, un pezzo di lume a
    petrolio distrutto dai fascisti la notte della spedizione e un
    grosso manganello di albatro trovato abbandonato in canonica
    nella stessa occasione.
    Don Carlo diceva che aveva perdonato a tutti ma non
    voleva dimenticare. E l’esposizione di questi cimeli doveva
    servire a lui stesso e agli altri per non dimenticare. Che aveva
    perdonato era vero perché alla sua mensa, sempre affollata di
    avventori, si sedette un giorno anche uno di quelli che gli
    avevano spaccato la casa e fu bene accolto come tutti gli altri.
    Se non che quando, durante il pranzo, cercò di bere, si accorse
    che il bicchiere era rotto e non poteva contenere liquidi. Allora
    si rivolse al padrone di casa e gliene chiese un altro, ma si sentì
    rispondere: “se non l’avevi rotto, ora ci trovavi un bicchiere
    sano e ci potevi bere.” E questa fu la sua vendetta.
    Con questi precedenti che nessun altro a Sassetta
    poteva vantare, era logico che Don Carlo giocasse un ruolo
    non secondario anche durante la guerra di liberazione. Fin
    dall’approvazione delle leggi razziali costituì un costante
    punto di riferimento per tutti gli ebrei e in particolare per il Dr.
    Giacomo Sonnino che trovò in casa di Don Carlo rifugio,
    protezione e aiuti di ogni genere. Ma tutti gli ebrei sfollati a
    Sassetta trovarono in Don Carlo un amico pronto ad aiutarli e
    anche a rischiare con loro. Seguì con discrezione (anche perché
    probabilmente era a sua volta sorvegliato) i movimenti dei
    partigiani che, conoscendo il suo passato tenevano contatti con
    lui, lo incontravano e facevano gran conto dei suoi pareri.
    Come quando, a una riunione dei partigiani della zona,
    avvenuta in località Valcanina, convinse il Comando stesso a
    desistere dal proposito di ordinare un’azione militare
    dimostrativa nel paese, per non mettere a repentaglio la vita
    dei cittadini, visto che la zona era fortemente presidiata dai
    tedeschi. Svolse la sua azione in favore del Corpo di
    Liberazione Nazionale con la necessaria cautela senza cessare,
    anche per non dare nell’occhio, di svolgere il proprio servizio
    sacerdotale. Non combatté certo con le armi in pugno ma
    svolse egualmente un prezioso lavoro di raccordo, di
    informazione e di aiuto in favore di chi, in un modo o
    nell’altro, era impegnato a battersi per la causa comune e,
    soprattutto, in favore degli ebrei. Nonostante le sue
    inoppugnabili referenze, la sua richiesta di far parte del C.L.N.
    fu respinta con lettera datata 11/10/1944 per disposizione del
    C.L.N. di Piombino con lo specioso motivo che, essendo un
    sacerdote non poteva farne parte. Una lettera del Comando
    Militare di Livorno giunse, però, pochi giorni dopo, il 19
    ottobre, a far giustizia, ingiungendo al C.L.N. di annoverare
    fra i suoi membri anche Don Carlo. Il quale, anche in seno a
    questo organismo svolse un’impagabile opera di moderazione
    perché, pur essendo quello che avrebbe avuto più motivi di
    tutti per vendicarsi, si oppose energicamente a quanti
    espressero il proposito di organizzare spedizioni punitive
    contro gli ex-fascisti, dimostrando così che il suo cristianesimo
    non era fatto solo di parole. Il Comando Raggruppamento
    Patrioti dell’Amiata gli rilasciò il 20/07/1944 un attestato di
    appartenenza al raggruppamento e nell’Archivio della
    Parrocchia di Sassetta si trova ancora, firmato dal Generale
    Alexander, il Certificato di Appartenenza ai Corpi dei
    Volontari per la Liberazione Nazionale.
    Durante il periodo dell’occupazione nazista nessun
    cittadino di Sassetta fu vittima dei tedeschi, nessun ebreo fu
    catturato e, dopo la liberazione, nessun fascista ebbe a subire
    rappresaglie. Se il paese uscì indenne da queste durissime
    prove si deve senz’altro alla civiltà dei suoi cittadini ma una
    parte del merito va anche a Don Carlo che, quando si trattò
    di difendere i suoi parrocchiani usò quella prudenza e quella
    moderazione che gli erano mancate quando si trattò di
    difendere se stesso.
    Questo era Don Carlo Bartolozzi, così come l’ho
    conosciuto io e come, mi pare, lo descrivono i documenti.

    Celestino Giorgerini

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